Tra le categorie a maggior rischio figurano i pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori e quelli affetti da patologie respiratorie
Da dicembre, il settore della virologia è entrato di prepotenza nelle case dei cittadini di tutto il mondo a causa del propagarsi di una patologia scatenata da un membro della famiglia dei Coronavirus. L’epicentro di quella che ormai è riduttivo definire una crisi è Wuhan, città cinese della provincia di Hubei, dal cui celebre mercato del pesce sembra essere uscito il virus che in questi ultimi giorni è dilagato anche in Italia.
Città deserte, comuni isolati, scuole chiuse, supermercati svuotati, eventi pubblici e manifestazioni cancellate. Sono dunque queste le conseguenze della diffusione del virus inizialmente denominato 2019-nCoV e che lo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha definitivamente etichettato come Sars-CoV-2. Ma nel clima di allarme generale instauratosi in tutto il globo, a circolare altrettanto rapidamente del virus sono state la disinformazione e la confusione in merito alla reale pericolosità di questo nuovo agente virale. Specialmente per quel che riguarda i malati rari. Per inquadrare meglio la situazione occorre dunque fare ordine e partire da che cos’è questo nuovo virus e dalle sue caratteristiche.
I CORONAVIRUS
“I Coronavirus sono virus a RNA noti da molto tempo”, spiega il prof. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. “Si tratta di una famiglia di virus respiratori in grado di provocare diversi tipi di malattie, dal comune raffreddore sino alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e alla sindrome respiratoria mediorientale (MERS). Una delle loro caratteristiche è quella di poter contagiare mammiferi di varia tipologia e, poiché i recettori a cui si adattano sono piuttosto simili a quelli dell’uomo, le piccole ma frequenti variazioni nel genoma del virus possono far sì che esso compia il salto di categoria e si trasmetta anche all’uomo”.
Si tratta, perciò, di un patogeno della famiglia dei virus influenzali, ed è sostanzialmente per questa ragione che i sintomi della COVID-19 – così è stata rinominata la malattia suscitata da questo nuovo virus – sono simili a quelli dell’influenza. “L’influenza si caratterizza per un brusco rialzo della febbre oltre i 38°C e per la contemporanea presenza di almeno un sintomo sistemico, ad esempio i dolori muscolari o articolari, o di un sintomo respiratorio”, continua Pregliasco. “Invece, dalle statistiche fino ad ora raccolte, il virus noto come Sars-CoV-2 è causa nella maggior parte dei pazienti di una febbre meno pesante, appena superiore ai 37,5°C, e di sintomi quali tosse e difficoltà respiratorie. Inoltre, mentre l’influenza tende a risolversi nel giro di 5-6 giorni, la COVID-19 dura anche fino a 15 giorni e, nei casi più gravi, la guarigione arriva a richiedere fino a 6 settimane. È un virus più impegnativo e che provoca una malattia di più lunga durata”.
UN PO’ DI STATISTICHE
Per un confronto più preciso con l’influenza è necessario guardare ai numeri e, soprattutto, usare la corretta terminologia, distinguendo prima di tutto il concetto di “tasso di letalità” (il rapporto tra il numero di morti a causa di una determinata malattia e il totale dei malati) e quello di “tasso di mortalità” (il rapporto tra il numero di morti sul totale di popolazione all’interno di una coorte di soggetti definita). In sintesi la mortalità esprime il numero di decessi rispetto al totale dei vivi. La letalità, invece, rispetto al totale dei contagiati. Non si tratta di sfumature ma di concetti importanti che possono fare la differenza nel giudicare l’entità di una patologia. “Quest’anno, su circa 6 milioni di casi di influenza abbiamo registrato 33 decessi diretti”, sottolinea Pregliasco. “Abbiamo avuto 164 casi gravi ma si suppone che fino a 6mila persone potrebbero morire per complicanze respiratorie legate all’influenza. Invece, il Coronavirus, nell’80% dei casi si presenta con una sintomatologia lieve o simil-influenzale, in circa un 15% dei casi provoca polmonite e in un 5% di soggetti causa una sindrome da insufficienza respiratoria acuta. Pertanto, mentre il tasso di letalità dell’influenza è circa dello 0,1%, quello del Coronavirus in Cina oscilla tra il 2,5% e il 4% registrato a Wuhan, ma negli altri Paesi scende intorno allo 0,7%”.
Secondo un articolo pubblicato a metà febbraio sulla rivista Chinese Journal of Epidemiology e basato su primi 70mila contagiati, il tasso di letalità risulta estremamente basso nelle fasce di età più giovani (0,2% fino a 39 anni) e cresce sensibilmente nei soggetti più anziani (8,0% nella fascia tra 70 e 79 anni e 14,8% negli ultraottantenni). Questo Coronavirus ha dunque una letalità più alta dell’influenza ma una mortalità decisamente inferiore.
INDIVIDUI A MAGGIOR RISCHIO
“In una casistica iniziale è stato osservato che i problemi più seri insorgevano in pazienti che presentassero patologie di base quale ipertensione, diabete, ischemia cerebrale, malattia di Parkinson, insufficienza renale e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)”, specifica Pregliasco. “Naturalmente, a questi fattori di rischio vanno aggiunti l’età avanzata e l’assunzione di farmaci immunosoppressori”. I pazienti in terapia con medicinali che deprimono le funzioni del sistema immunitario devono dunque prestare maggior attenzione e rivolgersi al loro medico per un’eventuale rimodulazione della terapia, perché questi farmaci, colpendo il sistema immunitario, contrastano l’azione dei farmaci anti-virali.
TERAPIE IN ATTO
Non esiste una terapia specifica contro la malattia provocata da questo nuovo Coronavirus ma sono allo studio diverse soluzioni terapeutiche. “Nel frattempo, nei pazienti ricoverati anche in Italia stanno usando la clorochina, un vecchio antimalarico che sembra dare buoni risultati, e gli inibitori delle proteasi che sono farmaci anti-HIV”, chiarisce l’esperto. “È stato provato anche Oseltamivir, un farmaco un’anti-influenzale. Per avere risposte definitive occorrerà però attendere la conclusione dei primi trial clinici”. In tal senso è molto importante distinguere l’uso di farmaci anti-virali, come quelli citati, dai comuni antibiotici, che invece agiscono contro i batteri e non esercitano alcuna azione contro questa patologia.
CIRCOLAZIONE NEL MONDO
La domanda che ora tutti si pongono è come il virus Sars-CoV-2 sia potuto giungere così in fretta e così all’improvviso nel nostro Paese. “Abbiamo visto i primi casi complessi negli ultimi giorni, ma sotto sotto ce n’erano altri meno evidenti”, spiega Pregliasco. “La sintomatologia vaga e i tempi di incubazione da 3 a 12 giorni (con un massimo di 14) fanno pensare che fosse in circolazione da un po’”. La quarantena, specie al Nord-Italia, è dunque un passaggio fondamentale per ridurre e limitare la trasmissione del virus. Inoltre, l’istituto Superiore di Sanità ha stilato un decalogo di buone norme da adottare per prevenire il contagio: lavarsi le mani bene e spesso, e coprirsi la bocca con l’incavo del gomito quando si tossisce o si starnutisce sono le prime regole da seguire per evitare che circoli il virus, che si propaga con la saliva e le goccioline respiratorie dal naso.
Gli ultimi minuti del film Contagion di Steven Soderbergh ricostruiscono in modo chiaro e verosimile la maniera in cui patogeni quali il Sars-CoV-2 passano dagli animali all’uomo e si diffondono nel mondo. I meccanismi sono noti, anche se, in casi specifici come questo, non è facile identificare le specie che veicolano il virus o il cosiddetto “paziente zero”. “Non siamo di fronte a una banale influenza e nemmeno a una malattia ad alta mortalità”, conclude Pregliasco. “Il problema di questo virus è che in poco tempo colpisce tante persone e tutte insieme. In Cina, il picco sembra essere stato raggiunto, ma in Italia occorre continuare ad applicare le giuste misure di prevenzione per limitarne il più possibile la circolazione”. Senza esasperazioni e soprattutto mantenendo il controllo.