Anna, la bambina che non può ammalarsi e la favola della mamma

Pubblicato l’11 agosto 2018  

Articolo di Silvia Maria Dubois 

TREVISO  – Anna, 6 anni, immunodepressa: a casa da scuola per i bimbi non vaccinati

 

C’era una volta un delfino che rimase senza pinna. Uno squalo buono, prima di morire, gli regalò la sua. La pinna era speciale, diversa da quella degli altri delfini e gli permise di vivere.

Anna, che oggi ha 6 anni, ha cominciato a conoscere la sua situazione medica attraverso una favola. Piano piano conoscerà anche la realtà. Ma deve arrivarci. Sana. È questa la preoccupazione della mamma, M.M. che ha presentato una denuncia a carico di ignoti per omissione di atti d’ufficio, tentata epidemia e istigazione alla disobbedienza. Anna, infatti, dopo un delicato trapianto di fegato a pochi mesi dalla nascita, è una bimba immunodepressa: non ha difese. Gliele hanno dovute indebolire per accettare quel pezzettino di corpo estraneo che l’ha salvata.
Il problema? Allo stato attuale la scuola, frequentata da altri compagni non vaccinati, le è costata cinque settimane di assenza.

Qual è la storia di Anna?
«Mia figlia è nata sana. A 40 giorni dalla nascita, nell’ambito di un prelievo occasionale, si è scoperto che aveva una malattia chiamata atresia delle vie biliari. È stata sottoposta ad un primo intervento a Padova e poi si è dovuti arrivare al trapianto a Bergamo. È andato bene. In seguito, però, abbiamo dovuto farle assumere un immunosoppressore: un farmaco che abbassa le sue difese e fa in modo che l’organismo di mia figlia non attacchi il fegato trapiantato. Abbassa le difese immunitarie verso il fegato “estraneo”, ma purtroppo abbassa anche le difese in generale. Quando mia figlia Anna si ammala, lo fa in maniera un po’ più forte di un bimbo normale e anche più frequentemente».

Come vivete la vostra routine?
«Non frequentiamo troppo luoghi pubblici, soprattutto d’inverno, quando girano le influenze. Evitiamo i cinema e i teatri, gli autobus e i luoghi affollati. Quando facciamo dei viaggi, non saliamo in metropolitana, usiamo sempre dei mezzi privati. Scegliamo la piscina meno frequentata in assoluto, quella più piccola che esiste a Treviso. Quando mangiamo fuori, non posso portare Anna ad eventi di piazza e feste all’aperto, dove le condizioni igieniche non sono certe. Devo scegliere bene i locali. Poi: se vado dal medico, io sono d’accordo che lo aspettiamo in corridoio non tra gli altri. In famiglia, se qualcuno di noi sta male, tiene la mascherina. Addirittura, se un amico ci invita ad una cena, ma ha la tosse, posticipiamo».

Come raccontate ad Anna questa realtà?
«Anna sente nominare la parola trapianto spesso. Intanto le abbiamo spiegato cosa significa. Abbiamo detto che il suo fegato che stava bene ad un certo punto ha iniziato a stare male e quindi lo abbiamo dovuto sostituire. L’ospedale di Bergamo ci ha preparato un libro scritto da volontari per spiegare tutto questo: la storia di un delfino che ha la pinna malata e grazie ad uno squalo che gliela lascia nel momento in cui muore, riesce a continuare a vivere. Con una pinna speciale, da squalo. Le leggiamo sempre questa favola, ma lei non è ancora riuscita a capire esattamente il collegamento. La prossima domanda che io mi aspetto è “da dove viene il mio fegato?”: la temo, sarà la più difficile di tutta la mia vita. Dovrò spiegarle che la sua esistenza dipende da un gesto d’amore di un’altra famiglia». La bimba Anna, 6 anni, ha subito un trapianto di fegato appena nata: oggi il suo corpo è senza difese e non può permettersi di ammalarsi.

Se Anna prende la varicella, cosa succede?
«Dobbiamo correre all’ospedale di riferimento, Bergamo, ad iniettarle un antivirale. Con la speranza che la varicella non si manifesti in maniera potente. Purtroppo, questa malattia infettiva, fra le varie complicanze, porta l’epatite acuta: in quel caso si dovrebbe pensare ad un altro trapianto, cosa che Anna non potrebbe sopportare».

Che ambiente ha trovato nella scuola di Anna?
«Le maestra e il corpo insegnanti è sempre stato estremamente attento. Per quanto riguarda la parte dirigenziale della scuola, io mi aspettavo qualche telefonata in più. Mi aspettavo più umanità e meno burocrazia. Mia figlia si è persa la prima consegna dei diplomi, la recita, la gita. Avrei voluto qualcosa di più. Si poteva. Tanti genitori avevano anche raccolto delle firme».

Va avanti con la denuncia?
«Siamo chiari: la denuncia, contro ignoti, io l’ho fatta perché la procura prenda in mano le carte. Depositata martedì. Voglio che facciano i loro accertamenti: vedremo se la scuola, l’Usl e altri soggetti coinvolti han fatto quello che dovevano fare. E una denuncia esplorativa. Io, però, sono stata contattata da altri genitori che avevano un problema simile al nostro: ho deciso che mi costituirò parte civile. In questo senso vado avanti. Ma io non agisco per avere delle condanne, io voglio chiarezza».

Cioè?
«Non è possibile che alcune scuole abbiano allontanato i bambini non vaccinati e altre no. La legge è in vigore, mi aspetto uniformità. Consiglio di Stato e Corte Costituzionale non sono bastate, vediamo se la magistratura muove qualcosa. Qui ci si attiva per difendere un’idea e non per difendere la salute. Io sono stata costretta a tenere a casa mia figlia per cinque settimane. La salute vale meno delle ideologie? Lo domando anche a Zaia, governatore di tutti, a cui chiedo un incontro urgente».

 

 

 

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